L’AD Claudio Descalzi: “L’Opec taglierà presto la produzione mentre il greggio si stabilizzerà a quota 65-70 dollari, il recupero nel 2016”
“Non c’è altra scelta” per il futuro energetico dell’Europa. Unire il Vecchio Continente “con l’Africa per aiutarla nello sviluppo del mercato energetico interno” è una sfida da giocare “e che si giocherà soprattutto sul gas e poi sulle rinnovabili”. L’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi, ne è convinto. E i numeri del World Energy Outlook 2014 presentati ieri dall’Agenzia internazionale dell’energia lo confermano. Nel frattempo però le società petrolifere come l’Eni devono fare i conti un calo del petrolio inatteso. Ma Claudio Descalzi non è preoccupato. La flessibilità è nel Dna di una società come l’Eni, che dopo aver messo un budget sul prezzo del petrolio intorno ai 90 euro, si aspetta per il 2015 “un prezzo fra 65-70 dollari che riprenderà gradualmente dal 2016”. Questo perché il manager prevede un taglio della produzione da parte dell’Opec entro la primavera e si aspetta una ripresa cinese oltre ad una frenata di alcuni giacimenti Usa. La stessa Aie prevede un recupero del greggio: “Con prodotti petroliferi sempre più economici” e “il calo degli investimenti” dovrebbe esserci “una pressione al rialzo sulla domanda”. Nel frattempo “il dividendo rimane una priorità, anche a questi livelli del petrolio” assicura Claudio Descalzi. Basta accomodare i conti, con nuovi tagli agli investimenti e ai costi. Certo, inutile negare una certa “sofferenza” subita dall’Eni a questi prezzi del greggio. Colpa di una crescita inattesa delle estrazioni negli Usa (che per la prima volta ha anche superato le perdite create dalla geopolitica), colpa di un’Opec che per la prima volta non ha risposto, e colpa del calo della domanda in Europa e della riduzione della crescita cinese. Ma “siamo abituati a 2 bolle di petrolio ogni dieci anni” chiarisce Claudio Descalzi, “non viviamo questa situazione con panico ma come un’opportunità”. Del resto, “ci protegge un break-even fissato a 45 dollari al barile, lontano dai livelli attuali”. Anche se “per ogni dollaro di calo nel prezzo del petrolio, la società perde fra i 90 e il 100 milioni di utile”.
La missione africana
Tornando alla scommessa africana, basti dire che l’area sub-sahariana, che concentra il 13% della popolazione mondiale, conta soltanto il 4% della domanda globale di energia, secondo il World Energy Outlook 2014. Insomma, due persone su tre oggi non hanno elettricità. E questo vuol dire che “ci sono potenzialità enormi” spiega Fatih Birol, capo economista dell’Agenzia dell’energia. La prospettiva su cui scommettere è quella di un Paese con una forza produttiva importante (tra petrolio e gas” che “dovrà vedere diminuire le esportazioni per utilizzare le risorse per il consumo interno”. Su questa strada, osserva Claudio Descalzi, l’Eni si è già messa in pista da tempo tra Nigeria, Congo e Angola. Senza contare che negli ultimi cinque anni il 30% di tutte le scoperte di petrolio e gas arriva proprio da quell’area, e per l’80% hanno avuto la regia dell’Eni. Ma non basta il coraggio di chi ha scelto di prendersi più rischi degli altri. Servono più investimenti. Ma soprattutto “serve che continui lo sforzo dei governi” sottolinea sempre Claudio Descalzi. Perché l’Africa “è casa nostro ma è un’opportunità per tutti, soprattutto per l’Italia e per l’Europa”, ribadisce l’AD del cane a sei zampe. Quanto alle conseguenze sulla controllata Saipem dopo lo stop del South Stream, “il contratto non può sfumare, le regole vanno rispettate”.
FONTE: Il Messaggero
AUTORE: Roberta Amoruso
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