Il venture capital in Italia è debole. Ha delle problematiche strutturali. Il peso degli investitori pubblici è eccessivo. Anche in Germania e in Francia c’è una presenza statale, ma da noi il rapporto fra pubblico e privato è troppo sbilanciato. A parlare è Pierluigi Paracchi, fondatore e Ceo di Genenta Science, spin-off dell’Ospedale San Raffaele.
Grazie ad una tecnologia basata sull’ingegnerizzazione di cellule staminali del sangue per il trattamento e la cura dei tumori, la società è l’unica italiana quotata al Nasdaq di New York, dove si contano sedici imprese tedesche, tredici francesi, cinque spagnole e – considerando Israele integrata nel blocco tecnologico occidentale, americano ed europeo – centotré israeliane. C’è poi la questione delle imprese ad alto potenziale, aggiunge Paracchi, che è stato anche nominato dal ministero degli Esteri a capo del tavolo sull’internazionalizzazione delle biotecnologie. Quando una società raggiunge una certa maturità, non ci sono investitori italiani specializzati che possano accompagnarla nel lungo periodo. Spesso succede che entrino nel capitale fondi e operatori stranieri che si appropriano del valore creato dal nostro sistema nazionale. Nella creazione di nuova imprenditoria ad alto contenuto tecnologico, si rischia di ripetere il paradosso del nostro sistema educativo. Il bambino italiano fa le elementari, le medie e le superiori, che hanno ancora una buona qualità. Poi si iscrive all’università, dove il rapporto fra il livello medio della formazione e il costo delle rette è fra i più vantaggiosi al mondo. E magari ottiene il dottorato, ma alla fine spesso va all’estero e ci resta, lavorando in Nord America o in Asia. Con le imprese high-tech può succedere lo stesso.
“Noi di Genenta Science stiamo sviluppando una terapia cellulare che consente l’espressione controllata e mirata di specifiche proteine antitumorali direttamente nel tumore così da riattivare il sistema immunitario. Siamo in fase di sperimentazione clinica nell’uomo. La ricerca, la gestione strategica e le competenze imprenditoriali sono in Italia. Le tecniche di sviluppo e i mercati finanziari sono negli Stati Uniti”. Tuttavia, le Life Sciences e le biotecnologie possono contare, nel nostro Paese, su una infrastrutturazione materiale e immateriale di buon livello, di ampia diffusione e di costo contenuto, ha spiegato Paracchi, con un sistema sanitario solido e centri di eccellenza che competono con il meglio degli Stati Uniti: “Per questo ho scelto un settore che ha più probabilità di mantenere anche una base tecno-produttiva e un radicamento, nell’equity e nella strategia imprenditoriale e scientifica, nel nostro Paese. La nostra tradizione riduce la probabilità di una rapida perdita di controllo a favore di centri decisionali totalmente stranieri”.
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