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Fabio Cassi e Niccolò Abriani, l’editoriale a quattro mani su “Il Sole 24 Ore”: “Finanza garantita, chance anche per le aziende in crisi”

Fabio Cassi, tra i fondatori della boutique finanziaria CAP Advisory, scrive questo editoriale su Il Sole 24 Ore insieme al collega Niccolò Abriani: secondo i due esperti, le preoccupazioni sugli effetti della pandemia sulle imprese chiamate da troppi mesi ad affrontare segnali di difficoltà, e l’esigenza di un pronto intervento normativo, invocato anche da chi scrive su queste colonne lo scorso 21 maggio, sono rimaste, in parte, inascoltate. In parte, poiché alcuni correttivi auspicati in quell’occasione sono stati ripresi nel decreto Cura Italia. Senza riscontro, è però rimasta la proposta di intervenire per consentire alle imprese che sono state aggredite dagli effetti indiretti determinati dalla pandemia quando già si trovavano in una situazione di crisi, di prevenire l’insolvenza con un percorso di ristrutturazione idoneo a recuperare la continuity aziendale.

Oggi, probabilmente, i tempi sono più maturi, mentre sempre più diffusa è la consapevolezza che al termine dell’emergenza sanitaria, quando sarà terminata la fase di anestesia legata alle moratorie, ai rinvii delle imposte e alle altre soluzioni temporanee, il Paese sarà chiamato ad affrontare la più grave crisi del sistema imprenditoriale dal secondo dopoguerra.

Se questi sono i presupposti, non è possibile e nemmeno pensabile escludere le imprese in crisi dalla possibilità di ottenere la liquidità necessaria, non solo per sopravvivere ma anche per rinnovarsi. Queste aziende rappresentano centinaia di migliaia di posti di lavoro e non possono e non devono essere ignorate. E visto che si sta pensando di prorogare la scadenza della nuova finanza fino al 30 giugno 2021, ora è il momento di agire.

Lo conferma la proposta, circolata in questi giorni, di permettere l’accesso alla finanza agevolata d’emergenza qualora sia inserita all’interno del piano concordatario e la relativa proposta sia omologata dal tribunale.

È un primo passo, ma non sufficiente. Per Fabio Cassi e Niccolò Abriani infatti, il concordato preventivo è infatti utilizzato in presenza di diverse categorie di creditori, difficili da gestire con accordi one to one, e soprattutto in presenza di situazioni di maggiore difficoltà. La presentazione della domanda di concordato, inoltre, provoca la scadenza immediata dei finanziamenti a termine e impedisce all’impresa di pagare i suoi fornitori per i debiti pregressi, producendo l’arresto del ciclo produttivo.

La finanza agevolata verrebbe in tal modo selettivamente indirizzata, da un lato, alle imprese che tuttora non sono in crisi, nonostante la pandemia, e, dall’altro alle crisi aziendali più gravi e complesse.

Per contro, e paradossalmente, rimarrebbero escluse le imprese in uno stato di crisi meno avanzata, che potrebbero essere ristrutturate, con maggiore rapidità ed efficacia, tramite altri strumenti previsti dal nostro ordinamento.

Ed e proprio una disciplina della crisi d’impresa, vigente e futura, a porre le premesse per una soluzione più razionale. Si tratterebbe infatti di consentire alle imprese di accedere alla nuova finanza prevista dal Cura Italia, se e in quanto la relativa erogazione sia inserita all’interno non soltanto di un concordato preventivo, ma anche di un piano parimenti attestato posto alla base dei due strumenti di prevenzione della crisi contemplati.

L’impresa potrebbe così beneficiare del sostegno alla condizione (necessaria, ma anche sufficiente) che abbia avviato un percorso di risanamento, ricorrendo a uno degli “accordi” prefigurati dagli articoli 56 e seguenti del Codice della crisi e oggi contemplati dall’articolo 182-bis e 67, comma 3, lettera d) della legge fallimentare: l’accordo di ristrutturazione destinato a essere omologato dal Tribunale, o l’accordo stragiudiziale basato sul piano attestato, in questo caso purché pubblicato. Entrambi gli strumenti darebbero adeguate garanzie agli amministratori dell’impresa, ai creditori istituzionali e a tutti gli altri stakeholders.

La garanzia potrebbe essere prestata a favore dei nuovi finanziamenti concessi dalle banche, in misura almeno pari al 25% dell’indebitamento finanziario e con un massimo di 5 (o 10) milioni di euro.

Ove le banche decidessero di erogarla, la garanzia potrebbe essere estesa anche a una parte della finanza old (che si potrebbe ipotizzare nel 50%), per un importo corrispondente. Un esempio concreto.

Una società che presenta un indebitamento finanziario di 20 milioni di euro, potrebbe richiedere nuova finanza garantita per 5 milioni e la garanzia potrebbe essere estesa ad altri 10 milioni di euro. Il risultato finale sarebbe un indebitamento di 25 milioni, dei quali 15 garantiti e 10 non garantiti.

Non si tratta, ben inteso, di assecondare una sorta di “effetto Lazzaro”: proprio la fattibilità del piano di risanamento varrà a selezionare le realtà in stato di decozione dalle imprese in difficolta anche per ragioni estranee all’attività caratteristica. Si pensi all’ipotesi in cui la crisi sia legata a investimenti effettuati in settori diversi dal core business, rivelatisi errati a posteriori o ad altri motivi esogeni, che non riguardano la solidità e la struttura dell’impresa.

Al di là della sua origine, si tratta comunque di una crisi transitoria, che l’impresa sarebbe stata in grado di superare senza il fattore esogeno della crisi sistemica innescata dalla emergenza sanitaria.

D’altro canto, l’attestazione da parte di un professionista indipendente di un piano di risanamento varrebbe a porre la ristrutturazione su binari adeguatamente solidi, condivisi con i principali stakeholders. Un percorso che potrebbe eventualmente poggiarsi sul piedistallo giudiziale (ma solo provvisorio) di una domanda prenotativa che offrirebbe protezione da aggressioni esterne anche qualora, alia fine del termine concesso dal tribunale, si intenda concludere un semplice accordo stragiudiziale sulla base di piano attestato, purché reso pubblico. Strumenti attivabili in piena trasparenza, presidiati dal ruolo responsabilizzante di professionisti indipendenti, che supportati dalla finanza agevolata potrebbero consentire il salvataggio di numerose imprese e dei relativi posti di lavoro.

Siamo di fronte a un’ultima chiamata, resa più drammatica dal grido d’allarme lanciato da alcuni dei più autorevoli osservatori (da Gratteri a Caselli) che hanno ancora di recente ribadito il rischio che la crisi possa estendere i tentacoli della criminalità organizzata sul nostro sistema imprenditoriale. In questo quadro non si può attendere il prossimo marzo per celebrare le liquidazioni (giudiziali o volontarie) di una parte considerevole delle Pmi che innervano il tessuto economico del Paese.

AUTORI Fabio Cassi e Niccolò Abriani

FONTE: Il Sole 24 Ore

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