Davide, considerando il mercato cinese, molti guardano al 2011, l’anno maggiormente calante per l’Europa nei confronti della Cina. Quando si guarda all’azione di svalutazione ad agosto, si alimenta l’idea che i policy maker fossero nel panico. Quando si vede il quality market fuori controllo ed un governo che non affronta il problema, l’idea che i policy fossero nel panico si alimenta ulteriormente. Come si esce da questo impasse secondo te?
Davide Serra: Dunque, un paio di punti. Primo: nel dicembre 2011 ho partecipato ad una conferenza Bloomberg, dicendo che le ECB avrebbero messo in difficoltà l’Europa e sono stato attaccato. Oggi sembra quasi lo stesso. Se si dice di credere che ci sia del valore nei mercati emergenti, si viene presi per folli. Ci sono un paio di cose da dire riguardo la Cina e io ho avuto il piacere di occuparmi di tale Paese per circa un mese, quando ero in Morgan Stanley, creando il più grande IPO cinese relativo alla Construction Bank, visitando regolarmente il nostro team con sede a Singapore. I mercati emergenti si dividono in due: la Cina, che continua a crescere, e tutti gli altri, che continuano a calare, fenomeno che si sta presentando da circa due o tre anni. Secondariamente, è apprezzabile la trasformazione che sta avvenendo in Cina: il contributo alla crescita dato dai settori dell’industria e delle costruzioni è andato da 70 a meno di 30, mentre il settore dei servizi è cresciuto da 30 a 70. La Cina perciò continua a crescere e lo fa con soluzioni di qualità. Tale situazione è molto buona per la Cina, ma non lo è per le società che vi esportano.
Il secondo punto si riferisce alla crescita dell’occupazione, che registra un 10% in più nei servizi e un 5% in meno nell’industria. Continuo a sentirmi dire di considerare il PIL basandomi sull’elettricità, ma quello sarebbe il caso in cui l’economia fosse basata sull’industria. Quando invece è basata sui servizi, si considerano i dati errati. L’ultimo aspetto che vorrei sottolineare in relazione alla Cina è il miglioramento che sta vivendo, per tre motivi: la crescita economica dal punto di vista industriale, sta facendo un cambiamento e non è facile passare da 70 building staff a 70 servizi, è una transizione che ho visto accadere in davvero pochi Paesi. Inoltre, sono stati aperti 50 milioni di training account in Cina in soli 6 mesi. Terzo, se si guarda all’indice in assoluto, nel periodo tra il 2009 e il 2011, la situazione economica mondiale era preoccupante, cosa che non si riflette attualmente.
Per riprendere ciò che hai detto all’inizio della conversazione, questa Europa del 2011 non ricapiterà più?
D.S.: Sì e vi spiego il motivo. Le persone, i policy maker, saranno in grado di rispondere. La gente non comprende la modalità cinese di trasmissione di denaro, perché si tratta di un capital account chiuso. Guardando ai mercati emergenti 45 anni fa, c’è stato un investimento di 8 trillioni al loro interno. Questo perché tutte le principali valute hanno abbassato le tariffe, offrendo prezzi alti, quindi la valuta ne ha giovato, gli investimenti sono entrati e perciò c’è stata spinta. Di questi investitori alcuni si sono dimostrati più accorti: quando le cose hanno cominciato a mettersi male, se ne sono tirati fuori. In Cina questo non si poteva fare facilmente, solo cambiare i dollari in RMB risulta difficile. Inoltre in Cina è interessante il tasso di cambio che non è mai stato così alto come oggi: ha raggiunto il 4%, il tasso più alto degli ultimi 40 anni. Questo vuol dire che ci sono ancora degli strumenti: potrebbero abbassare il tasso di cambio e giocare con i requisiti di riserva, il che renderebbe l’invio di denaro possibile in Cina. Perciò hanno ancora frecce al proprio arco.
Davide, quale visione hai sui mercati emergenti?
D.S.: Come dicevo, fino a tre anni fa sembrava impossibile investire nei mercati emergenti, che ho avuto modo di conoscere molto bene grazie alle ricerche condotte per Morgan Stanley, la quale mi ha fatto visitare 90 Paesi differenti in 20 anni. Ricordo un paio di episodi scioccanti, uno mentre volavo da New York a Rio, dove sull’aereo mi sono trovato in prima classe con un tizio che aveva nove bagagli a mano. Arrivato, il viaggio in taxi da Rio a Ipanema è costato più che a Manhattan e a Ipanema, avvicinandosi alla spiaggia, si rischiava di venire derubati. Il che non ha per niente senso per me. Ricordo il valore di Itau, il più grande istituto bancario dell’America Latina, che tre anni fa era circa 25 milioni di dollari per branca, mentre in Europa era meno di 1 milione per branca. Questo fa capire che qualcosa non va. Lo stesso vale per il paragone che si può fare con l’Australia, che rispetto all’Europa è in rapporto 1 a 10, sia a livello di popolazione che di PIL. Il livello finanziario è, però, lo stesso. Non ci sono dunque corretti livelli di equity e di valuta. Guardando a questo divario credo che ci stiamo arrivando. I mercati migliori sono al momento quello australiano e quello canadese a cui si aggiunge, per la prima volta, quello cinese.
Davide, volevo riprendere un concetto che abbiamo toccato all’inizio, rispetto a dicembre 2011 per l’Europa. Se guardo indietro adesso saprei quali investimenti si sarebbero dovuti fare. Come faccio a sapere quali investimenti dovrei fare adesso se si presentasse quella stessa condizione per la Cina?
D.S.: Per me il 2011 ha riguardato una policy response. Quello che bisogna fare è tenere in considerazione l’Europa, poiché gli indicatori economici sono positivi, e allo stesso momento trovare un modo per accedere ai mercati emergenti e in particolare la Cina che, come dicevo, è l’unico mercato emergente in forte crescita e che è in grado di risolvere qualunque problema di debiti in breve tempo, per come la vedo io. Inoltre, terrei il passo con gli Stati Uniti, per due motivi: il dollaro ha la possibilità di risollevarsi e come conseguenza troverà una compensazione nel valore degli asset. Dal mio punto di vista alla fine S & P dovrà arrendersi, perché l’accesso al mercato sarà molto più agevole.
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